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Rassegna-spettacolo musica e teatro:
"Roma '86, incontro tra Oriente e Occidente"
26 agosto - 17 settembre 1986
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I concerti di «Occidente e Oriente» a palazzo Pallavicini
Se il computer di Hassel suona nel giardino barocco
di Francesco Perego. "Corriere della Sera"
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Una luminescenza nel grigio di questa Estate romana anima un luogo di Roma mai aperto al pubblico prima d'ora.
L'«Incontro tra Occidente e Oriente» ambientato nel giardino pensile di palazzo Pallavicini Rospigliosi è giunto ieri sera al secondo appuntamento in cartellone e non si può sapere se tutto il ciclo viaggerà al medesimo livello. Però l'esordio, con Jon Hassel nei due concerti di martedì e mercoledì sera, è stato all'altezza dei momenti più felici della specialità urbana fiorita negli anni scorsi dall'iniziativa dell'ex-assessore Nicolini.
Non per la qualità di Hassel, già nota dai pochi dischi in circolazione in Italia. Nè per l'incanto del Casino dell'Aurora, progettato all'inizio del Seicento dal Vasanzio per il Cardinale Scipione borghese, che resta uno degli scampoli più preziosi della Roma barocca. Ma per alcune altre ragioni meno immediate.
Prima tra queste la contaminazione, atteggiamento tipico del presente che trova qui raggiunto un convincente equilibrio tra l'esasperata finezza eclettica del giardino e dell'architettura, con il suo anelito salottiero all'antico e la sperimentalita introversa di Hassel, che dialoga con gli archetipi della musica etnica fondendoli nel computer.
La contaminazione genera una sorpresa, che si somma a quella per la scoperta del luogo. Si replica cos quanto
rendeva eccezionali le prime rassegne cinematografiche intitolate a Massenzio: ambientate in luoghi speciali di cui
proponevano un uso inedito, e arricchite dalla sovrapposizione tra l'autorevolezza dell'architettura antica e la giocosa modernità del tipo di intrattenimento.
Nell'«Incontro tra Occidente e Oriente», l'analogia trova un limite nella sostanziale diversità dell'impatto sul pubblico. La «popolarità» dei monumenti, e anche degli spettacoli offerti, nelle precedenti Estati romane era capace di calamitare le folle. Qui invece un giardino privato, raccolto e difficile, ospita musiche fondate su intenzioni complesse, con un risultato che si può misurare anche nella modesta affluenza del pubblico. L'occasione va ugualmente memorizzata, per quanto potrà venirne alle prossime politiche di animazione culturale urbana. Proprio la ricerca di Hassel aiuta infatti a localizzare alcuni caratteri del probabile futuro di un «genere concerto» ormai irriducibile alla classificazione tra classico, leggero, folk, ecc.
Ciò che più provoca, in questa musica è in definitiva la modalità con cui è materialmente prodotta. Hassel suona la tromba, che nella sua derivazione dal corno è strumento primigenio, ma il suono è talmente alterato da non essere più percepito come suono di tromba. Al contrario la sezione ritmica è affidata solo eccezionalmente al battito di tamburi, nascendo per il resto dall'uso di una plancia di bottoni: l'uomo che dalla loro regolazione trae il ritmo non percuote alcunchè, ma lavora con gesti soffici su cursori e manopole.
Questo atteggiamento, e l'impasto di suoni che ne deriva, imparentati come sono con la scuola minimalista americana e con la ricerca elettronica da Stockhausen a Brian Eno, possono sembrare agli antipodi del programma musicale da cui nascono, che consiste nella rilettura di materiali primitivi, prevalentemente asiatici. Piuttosto che nella faticosa riconoscibilità delle matrici, il problema è però nella negazione dei loro fattori costitutivi: un suonare basato sul ritmo, che non percuote e non danza, in cui il computer non gioca da accessorio sensazionale come in tanta musica degli ultimi anni, ma il mezzo inevitabile per esprimere l'attonita simultaneità del ciclo contemporaneo.
Venerdì 29 agosto 1986
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