|
Rassegna stampa
» indice 2000
Approfondimento de:
"La Repubblica of the Arts"
|
» |
La Collezione Pallavicini
di Daniela Di Castro. "www.repubblica.it"
|
|
Di fronte al palazzo del Quirinale c'è un muro di cinta. Attraverso la porta di accesso, sempre sorvegliata, si intravede un grande giardino, solo in parte asfaltato, con un palazzo al centro. Il resto, perchè di resto ce n'è molto, non si vede; nè di questo luogo, così poco familiare persino a chi conosca bene Roma, erano note finora una quantità di vicende.
O meglio, gli storici dell'arte sapevano bene della sua importanza: fu commissionato dal Cardinal Nipote Scipione Borghese nel 1610, e da lui affidato a grandi architetti quali Flaminio Ponzio, Giovanni Vasanzio e Stefano Maderno, che trasformarono le rovine monumentali delle Terme di Costantino in una serie ininterrotta di padiglioni di delizie, di casini, di logge raccordati da una studiata articolazione di terrazzamenti e di giardini, con la residenza cardinalizia al centro. All'esterno fontane, ninfei e sculture di scavo; negli interni, affreschi dei pennelli più felici di quei tempi. Così a Paul Brill fu richiesto un finto pergolato abitato da uccelli, mentre Agostino Tassi e Orazio Gentileschi animavano il Casino delle Muse con figure femminili musicanti che sembrano ancora oggi vive, mentre si sporgono dalle loro balaustre. E ancora Ludovico Cigoli dipinse nel Casino del Patriarca Biondo Storie di Psiche, esiliate ormai da quei giardini per far spazio un secolo fa a via Nazionale (e quindi accolte nel Museo di Roma); ma nulla di tutto questo è paragonabile, almeno per fama, a uno dei manifesti del classicismo seicentesco, il Carro dell'Aurora affrescato da Guido Reni sul soffitto del Casino che da questa prende il nome, al di sopra di due grandi fregi dipinti con Trionfi da Antonio Tempesta. E' da qualche tempo noto agli studiosi il fatto che il Casino dell'Aurora, dalla facciata rivestita di fronti di sarcofago dove si narrano storie mitologiche di amore e di morte, rappresenta il riassunto e l'amplificazione di un concetto che percorre come un filo rosso tutte le figurazioni e la decorazione del complesso: quello, cioè, che l'anima deve aspirare a purificarsi e a innalzarsi attraverso l'amore, un amore che però taciti e ingabbi le passioni terrene e invece, aiutandosi con la musica e le altre arti, si sublimi verso la contemplazione del bello ideale. La derivazione neoplatonica di questa dichiarazione di intenti è chiara: e nelle mani di Scipione Borghese produsse a Roma due straordinari siti - oltre a questo, la Villa Borghese oggi sede del museo - che funzionavano per il cardinale e per la sua colta e raffinata cerchia di amici come scatole magiche all'interno delle quali il tempo si fermava, e i presenti purificavano il loro animo grazie al contatto con i capolavori dell'arte classica e classicheggiante che vi erano custoditi.
E poi, anche questo lo si sapeva ma già in modo più vago, la vendita di tutto il complesso dopo appena sei anni, al duca Altemps, quindi da questi a quel cardinal Guido Bentivoglio che fu ritratto da Van Dyck, e a Giulio Mazzarino che subito dopo prese la porpora, risiedendo a Parigi ma prestando volentieri il palazzo a Luigi XIV e ai più utili alleati della Corona, quando era necessario: fu così che Cristina, la regina di Svezia nota, oltre che per essere stata impersonata da Greta Garbo in un famoso film, per la sua conversione dal protestantesimo al cattolicesimo che la portò ad abdicare e a stabilirsi a Roma, soggiornò nel palazzo più di un anno, finchè le continue liti fra la sua scorta e quella del papa che passava l'estate nel palazzo del Quirinale, proprio lì di fronte, non la convinsero a traslocare.
Nel 1679, morto da anni il cardinale che aveva retto le sorti della Francia, i suoi eredi affittarono tutto il complesso alla giovane coppia formata dal duca di Zagarolo, Giovanni Battista Rospigliosi, e da sua moglie Maria Camilla Pallavicini: da questo momento la storia del palazzo e dei suoi abitanti è rimasta per tanti anni avvolta nella penombra, rischiarata solo da qualche citazione erudita e dal catalogo della Galleria Pallavicini in Roma, pubblicato nel 1959 da un giovane studioso che si chiamava Federico Zeri.
Giovanni Battista, pistoiese, era nipote di un papa, Clemente IX, che era morto dieci anni prima; lei, venuta da Genova, era nipote del ricchissimo cardinale Lazzaro Pallavicini, che morì proprio nel 1680 lasciandola unica erede a patto che il secondogenito dei duchi, il piccolo Nicolò, rilevasse il suo cognome con il relativo titolo principesco.
Negli intenti del cardinale questo Nicolò Pallavicini avrebbe dovuto dare vita a una famiglia che si rendesse indipendente dalla Rospigliosi; in realtà per due secoli i due rami continuarono a generazioni alterne a riunirsi e dividersi, dando luogo al cognome Rospigliosi Pallavicini, utilizzato da diversi capifamiglia, quando un Rospigliosi o un Pallavicini moriva senza eredi maschi, fino alla metà dell'Ottocento.
Non sappiamo se Giovanni Battista e Maria Camilla avessero presagito questa difficoltà nella divisione dei due casati: ad ogni modo nel 1708 riuscirono ad acquistare il palazzo dove ormai vivevano da anni insieme a uno stuolo di cardinali e altri parenti, figli che diventavano grandi, splendidi destrieri che prendevano il posto dei cavallucci di legno, bambinaie via via sostituite da maestri di musica e di danza, e poi da medici e infermieri; e subito avviarono lavori per ingrandirlo così da farne un'unica sede adeguata alle necessità logistiche e di rappresentanza delle due famiglie che da loro sarebbero derivate.
Così fu, e ad ogni generazione il palazzo si arricchì di splendide opere d'arte e di arredo. Dalla famiglia Pallavicini Maria Camilla ereditò, fra l'altro, tredici famosi dipinti di Rubens, raffiguranti Cristo e i Dodici Apostoli, oltre che uno splendido ritratto della giovane moglie del grande artista fiammingo, che era stato amico di famiglia. Dai tesori del papa di casa Rospigliosi, Giovanni Battista ottenne molti dipinti di Poussin e di Claude Lorrain, e i disegni originali di Bernini per gli angeli del ponte Sant'Angelo che Clemente IX aveva commissionato. Furono forse i Medici di Firenze, che con i duchi di Zagarolo erano in stretti rapporti, a donare loro la famosa Tazza Rospigliosi, capolavoro manierista delle botteghe granducali, d'oro massiccio impreziosito di perle e di smalti, vanto del palazzo dai primi anni del Settecento fino a metà Ottocento, quando scomparve nel nulla sostituita da una copia così ben fatta da avere ingannato fino a pochissimi anni fa anche gli esperti del Metropolitan Museum di New York, dove la tazza è giunta per legato dalla collezione Altman. Tutte queste opere, e molte altre, trovarono posto accanto alle fastose scenografie barocche che i duchi di Zagarolo avevano fatto allestire come palcoscenici per la loro vita quotidiana: l'alcova dai ricchi tendaggi, fra i quali spuntavano grandi figure allegoriche di legno scolpito e dorato, il tesoro di medaglie che con un gioco di specchi moltiplicava illusionisticamente i tesori di casa, le stanze di udienza con il baldacchino e i ritratti dei personaggi più potenti della famiglia, il romitorio nel quale la duchessa si ritirava a meditare circondata di mobili di materiali sontuosi ma di forme che imitavano gli scogli, le rocce e i tronchi d'albero che sono l'arredo dell'eremita: quando non preferiva sedersi al suo cembalo dalla cassa dipinta e dai piedi scolpiti e dorati a forma di trofei di strumenti accompagnati da putti e delfini.
La vita come un teatro, dunque, ma anche il teatro come svago e interesse privilegiato, e tradizione di famiglia legata allo stesso Clemente IX che era stato anche autore apprezzato di libretti e di testi per la musica: con il risultato che un artista famoso come Ludovico Gimignani fu coinvolto stabilmente nella progettazione delle scene e nel disegno dei costumi per le commedie che si allestivano nella galleria al piano terreno.
Con la generazione successiva, quella di Nicolò Pallavicini e del suo fratello maggiore Domenico Clemente Rospigliosi, sono ancora le mogli a contribuire sostanzialmente al gusto della casa in materia di arredo - una tradizione, questa del governo femminile del palazzo, che per motivi sempre diversi si è mantenuta fino ad oggi. È Vittoria Altieri, la giovane e incantevole principessa Pallavicini nota per il gusto dei suoi ricevimenti estivi nel Casino dell'Aurora, a sostituire tanti arredi barocchi che erano stati la gloria della famiglia (ahi, le nuore!) con porcellane del Giappone e mobili laccati più à la page; dovette essere sempre lei l'ispiratrice di un ambiente unico a Roma, un camerino ovale dalle pareti dipinte a trompe l'oeil con le porte laccate e una enorme vasca di marmo interrata al centro, dove i principi potevano fare il bagno: una caldaia nascosta provvedeva a regolare la temperatura dell'acqua.
Nel secondo Settecento la scena del palazzo è dominata dal duca Camillo, che non si sposò mai perchè sembrava amare solo i cavalli, tanto che la cavallerizza nei giardini del palazzo ebbe un momento di particolare gloria, mentre ai pittori della ducal casa si commissionavano quasi solo ritratti dei campioni della Razza Rospigliosi. Queste sue stranezze, però, non erano paragonabili all'infermità di suo fratello, il misterioso Giovanni Battista, che, malgrado avesse ereditato i titoli di duca Rospigliosi e di principe Pallavicini, fu relegato con la sua sedia a rotelle in un ambiente secondario del palazzo, interdetto in favore di sua moglie Eleonora Caffarelli dalla quale tuttavia ebbe numerosi figli che permisero alle due famiglie di perpetuarsi. Uno di questi figli fu Giuseppe Rospigliosi, Maggiordomo Maggiore del Granduca di Toscana, il cui corredo di matrimonio fu commissionato a grandi artisti fra cui Luigi Valadier, e che negli anni in cui si trasferì a Firenze, al volgere del Settecento, acquistò con un gusto ben in anticipo sui tempi un importante gruppo di quadri, che comprendono opere di Lorenzo Monaco, di Zanobi Machiavelli, di Lorenzo Lotto e di Botticelli. Fra questi, il più noto è una piccola tavola un tempo facente parte della decorazione di un cassone, nota convenzionalmente come La Derelitta, benchè raffiguri un personaggio maschile, Mardocheo, in un episodio delle Storie di Ester. Gli studiosi sono incerti sulla sua attribuzione a Filippino Lippi o a Sandro Botticelli, ma questo non impedisce di considerare il dipinto come uno degli episodi più lirici ed evocativi del Rinascimento.
Altri importanti dipinti ed arredi giungono nel palazzo nella prima metà dell'Ottocento, portati in dote da Margherita Gioeni Colonna, moglie di Giulio Cesare Rospigliosi Pallavicini, o acquistati da quest'ultimo sul mercato antiquario romano ai tempi della vendita della collezione del cardinal Fesch: di dove vengono, ad esempio, due monumentali vasi di porcellana di Sèvres con episodi napoleonici appartenuti a Letizia Bonaparte, madre dell'imperatore dei francesi e sorella del cardinale.
Margherita e Giulio Cesare ebbero due figli maschi con i quali le due famiglie si sdoppieranno definitivamente, ognuna delle due entrando in possesso dei beni della propria porzione di palazzo e del proprio asse ereditario, compensato tuttavia da continui scambi reciproci. Da questo momento i Rospigliosi stentano a mantenere i loro beni, e negli anni Trenta del Novecento vendono in due memorabili aste tutto ciò che rimane del palazzo e del suo contenuto. L'ala Rospigliosi perviene con un nutrito gruppo di dipinti alla Confederazione Nazionale Coltivatori Diretti, che di recente ha restaurato tutti i quadri incaricando Angela Negro di redigerne un catalogo scientifico. I Pallavicini mantengono invece tutto il loro patrimonio artistico, e anzi l'odierno capo della casa, la Principessa Elvina, nata Medici del Vascello porta in dote un lotto importante di dipinti ed arredi soprattutto genovesi. La Galleria Pallavicini è ancora uno dei musei più straordinari di Roma, che annovera tutti i dipinti della raccolta storica della casa e una quantità di arredi fondamentali per la comprensione delle arti decorative a Roma: ma si tratta di un museo del tutto privato, nel quale la famiglia abita e riceve solo i propri amici e pochissimi studiosi, selezionati fra i direttori dei grandi musei e i docenti universitari.
Per questo motivo la Principessa Maria Camilla Pallavicini, figlia di Elvina, ha commissionato a chi scrive e ad altre due studiose un volume (Daniela Di Castro, Anna Maria Pedrocchi, Patricia Waddy, Il Palazzo Pallavicini Rospigliosi e la Galleria Pallavicini, Torino, Allemandi, 2000, lire 300.000) che sia di aiuto a chi voglia conoscere la residenza storica di Monte Cavallo. Si tratta di un libro di grande formato, corredato da un ricco apparato di fotografie moltissime delle quali a colori, la cui prima parte costituisce quasi, a opera di Anna Maria Pedrocchi, una visita virtuale della galleria, del palazzo e di tutto il complesso, con un'attenzione particolare per la porzione assegnata ai Pallavicini. Seguono un esame, condotto da Patricia Waddy sui documenti d'archivio, del complesso e delle sue modificazioni nei secoli, e uno studio di Daniela Di Castro, basato anch'esso su uno studio dei documenti inediti e corredato da oltre cento schede, riguardante l'arredo del palazzo.
|
|
|
|